Il caso del Macellaio della teglia
Ovvero: quando la carne parlava più di quanto avrebbe dovuto.
Il caso del macellaio è uno di quelli che ci ha tolto il sonno. C’è un silenzio particolare che avvolge i paesi come Morra dopo il tramonto. È il silenzio delle persiane chiuse, delle piazze svuotate, dei segreti che si celano tra i muri antichi e le botteghe ancora accese oltre l’orario.
Ed è proprio in una di queste botteghe — una macelleria all’angolo della piazza di Sant’Albino — che ha avuto inizio una storia che nessuno voleva davvero raccontare. Finché, per caso o per destino, ci sono inciampato.
Tutto è cominciato con i cani. Sparivano. Prima uno, poi un altro. Sempre di notte. Nessun rumore. Nessun latrato. Nessun corpo.
“Avrà seguito una cagna in calore,” dicevano. “È scappato per i boschi.” Ma erano troppi, e troppo docili per andarsene così, uno dopo l’altro. E poi, c’era quel tanfo nell’aria. Quella puzza strana, dolciastra, che si sentiva passando accanto alla macelleria di Nando.
Nando era un’istituzione. Metteva il grembiule alle 5 del mattino, spaccava quarti di manzo come fossero rami secchi, e conosceva a memoria il nome delle nonne, delle figlie e delle nipoti di mezzo paese. Un uomo dalla battuta pronta. Un artigiano della carne. Un insospettabile.
Una sera, durante una cena con la signora Amelia, vedova e gran cuciniera, m’è capitato di assaggiare uno spezzatino “di Nando, fresco fresco”. Era strano. Fibroso. Più scuro del solito. Ma il sapore… Il sapore mi ha fatto tornare in mente un odore preciso. Quello di un cane randagio che avevo soccorso anni fa. Un odore che non dimentichi.
Mi sono fatto dare un avanzo e l’ho portato a un amico biologo all’università di Fisciano. Gli ho detto che era per un’inchiesta. Due giorni dopo mi ha richiamato.
“Giò, ma che roba m è purtato? Questa non è carne bovina. È… canina. Lo capisci?”
Lo capivo. Fin troppo bene.
Non è stato facile entrare nella bottega di Nando. Ma con la scusa di un’intervista per un blog sui mestieri antichi, ci sono riuscito. Gli occhi non mentono mai. E i suoi, dietro il sorriso, erano neri e spenti. Nel retro, ho scattato foto. Alcune le ho girate al maresciallo. Nel congelatore ho visto zampe. Non di suino. Non di capretto. E nella stufa — ossa. Non intere. Ma bastava poco per capire.
L’arresto è arrivato in sordina. Nando ha confessato in parte. Ha detto che “era un modo per arrotondare”, che nessuno s’era mai accorto di nulla, e che “tanto i cani erano randagi”.
Oggi la sua bottega è chiusa. C’è un cartello con scritto “Affittasi” sulla serranda.
E i cani del paese, finalmente, abbaiano di nuovo di notte.
📌 Note dell’autore: A volte le storie più spaventose non nascono nei vicoli bui delle città, ma nei posti dove ti senti più al sicuro. Dove conosci tutti. Dove credi di conoscere tutti. E invece, basta grattare la superficie… per sentire l’odore.